
11 Apr GINOCCHIO, QUANDO LA PROTESI NON PUÒ ASPETTARE
Non è facile sentirsi dire che è necessario sostituire la propria articolazione del ginocchio, per quanto malata, con una protesi. Tuttavia, in alcuni casi, aspettare prima di sottoporsi all’intervento di protesi può aumentare l’usura dell’articolazione, il dolore e la difficoltà al movimento. Quando la protesi di ginocchio non può più attendere, ce lo spiega il dottor Vincenzo Madonna.
L’indicazione all’intervento deriva dal grado di usura dell’articolazione – spiega l’esperto -. L’esame clinico durante la visita e i segni radiografici di artrosi e usura, insieme alla valutazione delle limitazioni alla vita di tutti i giorni causate dal dolore, oltre alle aspettative del paziente dopo l’intervento, permettono di capire se proporre trattamenti di tipo conservativo oppure la chirurgia protesica. Oggi, rispetto a 20-30 anni fa – continua il dottor Madonna – sono notevolmente migliorate sia le tecniche chirurgiche, sempre più mini-invasive, che i materiali delle protesi, sempre più compatibili con l’anatomia del ginocchio e resistenti all’usura. Questo ha permesso di ridurre le complicazioni post operatorie, accelerare il recupero del paziente, anche grazie a protocolli di recupero denominati fast track, e allungare la vita della protesi».
Protesi di ginocchio, in cosa consiste l’intervento?
Quando i trattamenti conservativi, come infiltrazioni, terapia farmacologica e fisioterapia non hanno più effetto, l’intervento diventa necessario. «La protesi è inevitabile quando l’articolazione è molto usurata – dice l’ortopedico – e il paziente, non riuscendo più a estendere e piegare correttamente il ginocchio, è costretto a una deambulazione notevolmente alterata che rischia di mettere a repentaglio la “salute” delle altre articolazioni e della schiena. L’intervento prevede una prima fase di rimozione delle superfici ossee e cartilaginee usurate, e una seconda fase di impianto della protesi scelta sulla base delle superfici malate previa misurazione intra-operatoria mediante strumenti specifici della taglia protesica adeguata per quel ginocchio».
Protesi, totale o monocompartimentale?
Oggi si tende sempre più a conservare la parte di articolazione sana, sostituendo solo i tessuti usurati. «Sostituendo la parte malata con una protesi parziale (o monocompartimentale) del compartimento interno (o mediale) o esterno (o laterale) del ginocchio, più raramente del femoro-rotuleo – prosegue il dottor Vincenzo Madonna – il ginocchio del paziente mantiene una buona parte della sua funzione fisiologica. L’indicazione alle protesi monocompartimentali deve essere molto precisa, perché i presupposti fondamentali da osservare in questo tipo di impianti sono una buona stabilità globale dell’articolazione e il buono stato delle cartilagini e menischi dei compartimenti del ginocchio che non vengono protesizzati. Invece, con la protesi totale, indicata nell’artrosi diffusa, le estremità tibiale e femorale dell’articolazione vengono rivestite su tutta la loro superficie dalle componenti protesiche. Rispetto alle protesi monocompartimentali, la protesi totale permette anche di correggere deformazioni, talvolta anche importanti dell’asse biomeccanico del ginocchio, in varo o in valgo, riallineando l’arto inferiore e permettendo al paziente di tornare a camminare correttamente senza dolore».
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